sabato 27 settembre 2008

La situazione ad Est


I Celtics sono ancora i favoriti?


Partiamo con la domanda chiave della stagione cestistica che andiamo ad affrontare: Boston si presenta ai blocchi di partenza come la favorita numero uno nella corsa al titolo della Eastern Conference? Sostanzialmente sì. Posto che l’anno scorso non avrei messo mezzo dollaro su un’eventuale titolo per l’armata verde, va necessariamente fatto notare che la situazione è fortemente cambiata. Tecnicamente ad est la situazione è molto meno intricata rispetto alla costa occidentale e le impressioni che anche quest’anno possano arrivare a giocarsela le solite notissime tre (leggasi Boston, leggasi Cleveland e leggasi Detroit) rischia ancora una volta di avere solide fondamenta. Ma andiamo con ordine.

Atlantic – Dopo la stagione delle piogge che ha regalato al pubblico del Massachusset due componenti dei Big Three, è arrivata la stagione calda, quasi arida, per le casse dei campioni in carica, che hanno dovuto ridimensionare il budget a disposizione del GM Danny Ainge, salvo poi avvallare scelte di mercato abbastanza fuori dalla parsimoniosa logica con cui si era intrapresa l’estate. Una su tutte, la firma di Darius Miles reduce da una stagione di fermo (causa infortunio) a Portland, prelevato dalla lista dei free agent dopo esser stato scaricato dai Trail Blazers che non vedevano l’ora di liberarsi dei suoi 8 milioni annuali. Boston, non esattamente la piattaforma ideale per un rilancio, un errore (ammesso che di errore si tratti) lo può commettere ed il titolo di campioni raffredda anche i “criticoni” più agguerriti. I rinnovi di House ed Allen (Tony) erano quantomeno dovuti dopo l’apprezzabilissimo contributo offerto dai due, rispettivamente ai playoff ed in regular season. Ma la scelta che rimane il vero mistero dell’estate 2008 è il rilascio di James Posey, approdato ai New Orleans Hornets. Giocatore senza il quale i Celtics avrebbero verosimilmente ceduto il passo a Cleveland per la finale della Eastern Conference contro Detroit e uomo di immenso peso specifico all’interno dello spogliatoio. La plusvalenza riguardante il mercato 2008, dunque, fa registrare un netto segno negativo per gli uomini di Doc Rivers, che mantengono ugualmente il monolitico gruppo dello scorso anno ed affrontano quello che verrà con basi solidissime su cui lavorare.
Toronto più che basi, dopo la stagione 2007/08, aveva tanto da cambiare ed il tipo di impronta data alla squadra, anche solo per il fatto di averle dato un’impronta, manda segnali positivi ai sostenitori del team di Bargnani. Segnali meno positivi li manda a Bargnani stesso; perché con la cessione di Nesterovic (insieme a T.J. Ford, Baston e Hibbert) e l’arrivo di una All-Star come Jermaine O’Neal sotto le plance la situazione inizia ad ingarbugliarsi per davvero. Attualmente l’Andrea nazionale è decisamente poco mobile anche solo per immaginare di ricoprire un ruolo da ala piccola ed allo stesso tempo fisicamente troppo indietro rispetto a quelli che dovrebbero essere il 4 ed il 5 titolari. Nel backcourt con il rinnovo di Calderon e l’arrivo della coppia Ukic/Solomon dall’Europa, Mitchell ha degnissimi trattatori di palla e perde il buon T.J. che troverà modo di prendere decisioni in maniera inopinata altrove. Complessivamente il roster è stato snellito e questo, ancora una volta fortunatamente, dà meno possibilità di inventare a coach Sam Mitchell, che nelle ultime due stagioni ha fatto dei propri continui cambiamenti il punto debole della squadra.
Inutile nascondersi per quanto riguarda i Knicks ed i Nets: la corsa al contratto di LeBron James nel 2010 fa gola e nessuna delle due ha pensato nella maniera più assoluta al presente. Scelta che potrebbe presentare il conto in questa stagione, probabilmente addirittura con il mancato piazzamento nella griglia delle prime otto. New York, nuova casa del prodotto nostrano Danilo Gallinari, ha visto in Chris Duhon l’unico acquisto di una certa rilevanza e anche ad un occhio inesperto risulta evidente che questa franchigia, combinata come l’anno scorso, ha pochi pregi di cui fregiarsi. Mike D’Antoni, arrivato da Phoenix, ha dichiarato che non abbandonerà la sua idea di una squadra che corra in maniera continuativa. Dichiarazione che stride con il quintetto che si troverà in mano a fine ottobre: qualcosa non torna. Per quanto riguarda New Jersey, invece, non abbiamo condiviso le scelte di mercato già dalla notte del draft. Notte in cui la migliore chiamata è stata inaspettatamente l’ultima: Chris Douglas-Roberts; shooting guard dotata di grande velocità, discreto ball handling ed una visione del campo veramente notevole. Meno entusiasmo per quanto riguarda le scelte di Brook Lopez e Ryan Anderson che saranno sottoposte alla durissima selezione fisica dei parquet NBA di questa era cestistica. Gli arrivi di Yi Jianlian e Bobby Simmons da Milwaukee in cambio del realizzatore Richard Jefferson sono da archiviare, come dicevamo sopra, con la documentazione targata “Missione LBJ, anno 2010”. Gli arrivi di Hayes da Detroit e di Najera da Denver hanno completato il confusissimo quadro dei Nets 2008/09 che presentano innumerevoli lacune a livello di organico e che per quanto riguarda il sondaggio “chi non vorreste essere nei prossimi 12 mesi” mi fanno nettamente propendere per coach Lawrence Frank.
Il quadro dipinto fin qui non è dei più entusiasmanti ma se c’è una squadra che può aspirare almeno ad un ruolo di disturbo nei confronti di Boston nell’Atlantic division, quella è proprio Phila. I 76ers hanno chiuso in maniera dignitosissima la stagione passata, dando parecchi pensieri ai Pistons di Flip Saunders ed hanno iniziato ancora meglio l’estate, mettendo le mani su uno dei più prelibati free agent del 2008: Elton Brand. Gli innesti successivi di Ratliff, K.Rush e Marshall hanno dato profondità ad un roster che partiva da uno zoccolo duro di indubbio valore e se Cheeks si confermerà l’abile coach dello scorso anno, sarà difficile passare illesi per la città dell’amore fraterno.



Central - Dici Cleveland e non pensi ad una squadra dalla classifica dominante durante la regular season, poi calendario dei playoff alla mano ti accorgi che i Cavs con una posizione in griglia migliore avrebbero avuto infinite possibilità in più di mettere le mani sul trofeo. Di spiegazioni se ne potrebbero trovare innumerevoli ma volendo semplificare massicciamente il discorso, potremmo dire che una migliore distribuzione delle responsabilità potrebbe essere la ricetta giusta per porre fine al dominio targato Pistons degli ultimi anni. In questo senso si è lavorato per garantire tante soluzioni alternative a coach Brown, rinnovando prima di tutto Gibson e West. Ma Cleveland, per la concezione di gioco che ha il suo allenatore, è una squadra che costruisce quello che fa in attacco da come si muove difensivamente e soprattutto perimetralmente la mancanza di un gran difensore ha creato più di un problema in passato. Al profilo rispondeva esattamente Mo Williams, shooting guard prodotto di Alabama reduce da una stagione con i Bucks da 17,2 punti e 6,3 assist a partita ed un grande contributo nella propria metà campo. La contropartita che ha convinto i Bucks a lasciarlo andare (Damon Jones e Joe Smith) è molto più che accettabile per la franchigia dell’Ohio che perde un Jones sostanzialmente al capolinea della carriera ed un Joe Smith destinato a prendere lo stesso treno. Smith, ad onor del vero, aveva dato tanto in termini di prestazioni durante la mezza stagione alla QLA e la sua assenza apriva la questione lunghi, risolta in qualche modo da Ferry. La pick ci ha trovati perfettamente d’accordo: J.J. Hickson. Hickson è un’ala grande fisicamente pronta per la NBA, dotata di un buon tiro dalla media distanza e di un’elevazione eccezionale che lo colloca al top dei rimbalzisti della sua generazione. Meno entusiasmo per l’ingaggio di Lorenzen Wright, preso come garanzia in caso di fallimento da parte del giovane proveniente da NC State, che chiude l’estate di trade firmata Cavs. Cleveland sta palesemente provando a far vincere LeBron spendendo il meno possibile, ma ogni anno che passa allontana il prescelto dalla sua città natale e presto non esisteranno più soluzioni diplomatiche possibili. Sono da titolo? No. Possono vincere quest’anno? Assolutamente sì. Siamo alle solite.
In casa Pistons il tema caldo dell’estate è stato il cambio di allenatore, se di cambio vogliamo parlare. Michael Curry, alla prima esperienza da head coach, succede a Flip Saunders dopo avergli fatto da assistente (una sorta di defensive coordinator del football) per tutta la carriera. Durante le prime uscite ufficiali Curry ha toccato anche il tema del ricambio generazionale, ma a giudicare dalle mosse estive in casa Detroit, qualcuno deve avergli consigliato di lasciare l’icona aperta per l’anno prossimo. Difficile pensare che Curry non segua la strada tracciata dal suo predecessore non avendo cambiato esattamente nulla del nucleo della squadra. Che senso abbia avuto questo cambio di guida sfugge anche a noi, ed il discorso Rasheed Wallace (non in rapporti idilliaci con Curry) si fa sempre più incalzante. Partiti Hayes, Ratliff e Dixon, il Palace of Auburn Hills ha dato il benvenuto ad uno dei ragazzi più incomprensibili di questa lega: Kwame Brown. I vecchi Pistons sarebbero stati l’ambiente ideale per farlo risorgere, ma con l’aria di incertezza che tira nel Michigan una delle franchigie più compatte che abbia mai visto viene rinviata a giudizio.
L’estate di Chicago ha un nome (Derrick) ed un cognome (Rose). Con la scelta numero uno alla lottery draft di quest’anno, i Bulls si sono portati a casa un giocatore per cui sono stati spesi e si spenderanno fiumi d’inchiostro. Un playmaker dai mezzi tecnici e fisici fuori dalla norma, un ragazzo che alla tenera età di venti anni è stato il leader carismatico di quei Memphis Tigers arrivati ad un supplementare dal titolo NCAA. Da lui Chicago può e deve partire per mettere in tavola un progetto ad ampio respiro (dopotutto Portland insegna) facilitato tra l’altro dalla bassissima età media della squadra. Non vi erano particolari bisogni a livello di roster: i Bulls sono una squadra con un parco guardie ottimo, delle ali invidiabili ed una buona presenza sotto i tabelloni. La principale preoccupazione, nostra che amiamo il basket e dei sostenitori dei Bulls per ragioni di tifo, rimane il cambio di allenatore. Del Negro nella sua carriera ha occupato solo ruoli da assistente dirigenziale ed appare ancora oscura l’impronta che intenda dare ad una squadra comunque profondamente plasmabile.
Giungiamo alla classe operaia, quella che difficilmente riuscirà anche solo ad avvicinarsi alle porte del paradiso. Stiamo parlando di Indiana Pacers e Milwaukee Bucks. L’Indiana, una delle culle del basket USA, un posto dove i fondamentali profumano ancora di torta di mele; le due anime di uno stato che cresce con credo quasi religioso i suoi giovani prospetti, ma che lascia allo sbando la propria squadra professionistica. Di un roster in cui sono presenti T.J. Ford e Jamaal Tinsley io non so veramente cosa dire, ma rimando tutto al giudizio del lettore allegando le tabelle dei movimenti targati Pacers. Nesterovic acquistato a quale scopo? Il buon Rasho riteneva troppo elevati i ritmi dei Raptors e me lo mandano ai Pacers? Voto assolutamente negativo alla dirigenza dei Pacers. Per quanto riguarda la squadra, temiamo si possa guadagnare facilmente una chiamata alta per il prossimo draft.
I Bucks, in mano al nuovo head coach Scott Skiles non potranno evitare di affrontare alcune problematiche. Primo palese problema: l’assoluta mancanza di un uomo franchigia che possa prendere in mano uno spogliatoio dimostratosi abbastanza freddo negli ultimi anni. Tecnicamente invece questo non è il modello di roster congeniale alla pallacanestro che vuole giocare Skiles: squadra a trazione posteriore, con discreti lunghi anche se non in grado di fare la differenza intorno all’anello arancione. Per l’ennesimo anno li vediamo fuori dalla lotta playoff.




Southeast - Siamo alla fine del viaggio attraverso le division della Eastern Conference e verosimilmente l'idea che abbiamo trasmesso in merito alla costa est è di una gerarchia molto ben delineata, con assiomi cestistici da tenere assolutamente in conto, ma se è vero che ogni medaglia ha la sua seconda faccia, quella della Eastern Conference è decisamente la Southeast Division. Miami, dopo la stagione disastrosa appena trascorsa, è la squadra che ha tenuto il comportamento più interessante durante l'estate. Innanzitutto il diritto alla seconda chiamata alla la lottery draft ha dato modo a Pat Riley di mettere le mani su due prospetti di indubbio valore: Michael Beasley e Mario Chalmers. Il primo, una combo guard dotata di un fisico eccezionale ed una verticalità nel salto a dir poco mostruosa, si candida come complemento di Wade nel backcourt mentre il secondo (shooting guard) ha presentato il tiro dell'overtime (e conseguente vittoria) nella finale NCAA di quest'anno come biglietto da visita. A loro il compito di non far rimpiangere le partenze di Jason Williams e Ricky Davis, entrambi approdati sulla sponda meno nobile della città degli angeli. Il reparto lunghi, tuttavia, presenta ancora tanti quesiti a cui dare risposta; uno su tutti, chi sarà il compagno di Haslem sotto il tabellone? Per lo spot da 3 la scelta di Riley è ricaduta su James Jones, ala piccola dinamica dotato di una decina di punti a partita. La buona notizia è sostanzialmente questa: l'anno scorso l'asticella non è stata messa poi troppo in alto, di conseguenza non dovrebbe essere difficile registrare un miglioramento, ma il reale obiettivo di Miami attualmente non può andare oltre il secondo turno di playoff.
Nel caso vi fosse ancora qualche dubbio sul tipo d'impronta che Van Gundy vuole dare al proprio roster, l'acquisto di Pietrus è la prova che Orlando vuole ancora una volta cercare di incentrare la sua pallacanestro sul piano del fisico. Il frontcourt formato da Howard, Lewis, Turkoglu (più l'aggiunta di Pietrus) effettivamente sul piano fisico va sotto decisamente con poche squadre, ma qualcosa ancora non quadra all'interno di questo roster. Perchè? Basta pensare per un attimo a tutte le grandi squadre che hanno portato a casa qualcosa di importante. Cosa avevano? Grande cultura del lavoro difensivo, almeno due fuoriclasse ed una triangolo (play-centro-ala) di livello. Per quanto Howard attualmente non rappresenti il mio ideale di centro, uno ce l'abbiamo e per quanto mi vengano in mente almeno una quindicina di giocatori migliori di Lewis, abboniamo anche l'ala. Il problema vero di questa squadra è che non ha una mente pensante in regia. Jameer Nelson è una guardia riadattata a fare questo ruolo, ma si limita a martellare il pallone dentro senza leggere un minimo la difesa. Ancora una volta il giudizio non può andare oltre "l'incompleto" per Orlando.
Per Atlanta, Charlotte e Washington potremmo eseguire uno splendido "copia e incolla" dalle analisi dello scorso anno. Squadre rimaste esattamente identiche alla passata stagione, anche se quest'anno i Wizards faranno di tutto per evitare la furia di LeBron al primo turno di playoff, mentre per Charlotte ed Atlanta sarebbe un traguardo anche solo arrivare a calcare i parquet di maggio.

giovedì 4 settembre 2008

Thunder days a Oklahoma City

Thunder - Giunto il fatidico 3 settembre il segreto è stato svelato: la nuova franchigia di OC adotterà Thunder come nickname, andando ad aggiungersi a Magic e Jazz nella lista di squadre che si identificano con un nome al singolare. Curiosità a parte, il segreto di cui sopra di segreto aveva ben poco. La necessità di avviare una campagna di merchandising in tempi brevissimi aveva fatto trapelare la notizia in maniera ufficiosa già qualche giorno prima; infatti la certezza che non si sarebbe tornati indietro, nonostante parecchie voci fuori dal coro, si era fatta sentire già due giorni fa, quando l'ex proprietario Howard Schultz aveva deciso di rinunciare a qualsiasi procedimento giuridico nei confronti del nuovo presidente Clay Bennet, spianando di fatto la strada alle ultime procedure burocratiche. La presentazione si è svolta in un clima abbastanza surreale, con il sito della NBA che aveva già definito la pagina dei Thunder come home page officiale della nuova franchigia ed il sito degli Orlando Magic che già dava come "vs Thunder" una delle sfide della regular season 2008/09. Ma negli States quando ci si muove, lo si fa per davvero ed il comitato organizzatore pompando "Thunderstruck" degli AC/DC nelle orecchie dei presenti ha dato l'onore di togliere ogni dubbio al nuovo acquisto (provenienza Milwaukee) Desmond Mason. Svelato il logo ufficiale, Bennet ha avuto modo di spiegare almeno perchè fossero stati scelti proprio quei colori. Il colore blu è stato scelto perchè colore base della bandiera che rappresenta lo stato dell'Oklahoma; il giallo sta a simboleggiare il sole, mentre l'arancione scuro il tramonto. La spiegazione, lo dobbiamo ammettere, ci ha fatto un po' sorridere e nessuno più di noi attendeva la presentazione della mascot. Festa rinviata: la mascot non verrà svelata prima di almeno altre due settimane. A personalissimo giudizio si poteva sicuramente fare di meglio per quanto riguarda il design del logo e la pittoresca spiegazione in merito alla scelta dei colori. Coach Carlesimo, fattosi uomo incredibilmente saggio non è stato altrettanto originale: "Se i ragazzi giocheranno bene, quelle magliette sembreranno migliori". Gotta admit direbbe qualcuno, ma attualmente la gestione Bennet non ha preso esattamente la via che ci si aspettava.