martedì 8 aprile 2008

John Calipari e l'allergia alla lunetta

Inizialmente non avrei voluto spendere più di tanto sulla finale NCAA e sulle strampalate teorie di coach Calipari, ma l'andamento della gara, in un certo qual modo, mi costringe a trattare l'argomento.

Stanotte anche il campionato professionistico si è fermato per permettere alle televisioni di accaparrarsi il famoso share di pubblico appassionato di basket, che magari non avrebbe avuto dubbi nella scelta tra il college basketball ed il consueto show di un LeBron James qualunque. Comportamento condivisibile o meno, che comunque ha dato agli addetti ai lavori, compreso il sottoscritto, la possibilità di ammirare due dei principali prospetti per quanto riguarda l'anno prossimo: Derrick Rose e Brandon Rush. Non fosse per il suo allenatore, la tentazione di fare almeno un po' di tifo per Memphis c'era, anche perchè in pochi hanno creduto che il coach dei Tigers fosse serio quando prima della partita ha dichiarato: "non credo che il nostro 59% dalla lunetta vada migliorato perchè i ragazzi sono sempre riusciti a spuntarla quando la posta in palio era alta". Fatto sta che i suoi ragazzi erano davvero sul punto di compiere l'impresa, perchè con 2:12 da giocare ed un vantaggio di 12 punti, perdere la partita dalla linea del tiro libero non è impresa per tutti: in due minuti e poco più di gioco, Kansas ha invitato in maniera sistematica gli avversari in lunetta ed il risultato, in 2 minuti di ciò, è stato la riduzione del vantaggio Tigers a soli 3 punti con 10 secondi da giocare. Dieci secondi, cestisticamente non una, ma tre eternità. Non sembravano dello stesso avviso i ragazzi di Calipari (e Calipari stesso), che in panchina davano incredibilmente inizio ai festeggiamenti. A quel punto, ammetto di aver soffiato anche io sul pallone sparato in aria da Chalmers, che ha schiaffeggiato la retina e l'euforia avversaria.

La spiegazione finale di Calipari ve la trasmetto per la serie "chiudere la bocca, mai" ed è la seguente:"Con soli 10 secondi da giocare, sentivamo di essere i campioni nazionali ma quel tiro improvviso è entrato ed il nostro no".

Venerdì parlavamo delle fatiche del made in Italy dall'altra parte dell'oceano ed anche se Calipari, a dispetto del cognome, è nato in Pennsylvania, l'analogia è troppo ghiotta per non essere sfruttata: a quanto pare, anche a livello di college, i prodotti nostrani non fanno propriamente una bella figura.

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